The Lie Of The Land
Con The Lie Of The Land si chiude la cosiddetta Monks Trilogy, una tripletta di episodi dedicata alla distopia, tema delicatissimo quanto attuale molto caro agli autori di tutte le rigenerazioni.
Fin dal suo esordio, la decima stagione ha riportato in auge la struttura narrativa di tipo ciclico largamente adoperata nel Classic Who.
Una scelta giudiziosa quanto rassicurante sia per il team creativo sia per gli stessi telespettatori, abituati nei tempi più recenti ai machiavellici stravolgimenti di trama e alle riscritture temporali che hanno segnato in modo marcato tutta l’era di Steven Moffat.
Modus narrandi et scrivendi largamente consolidati e ampiamente graditi, in questa nuova stagione gli autori hanno preferito ripercorrere la strada vecchia abbandonando in parte quella nuova, come il noto detto suggerisce saggiamente.
Per la scrittura di quest’ultimo tassello il testimone passa nelle mani di Toby Whithouse, noto agli Whovians per aver creato episodi nostalgici o stand-alone (mi riferisco rispettivamente a School Reunion e a A Town Called Mercy). Ma Whithouse è famoso anche per il particolare tocco che conferisce alle scritture che portano la sua firma, riscontrabile soprattutto nei lavori più recenti. In The Vampire Of Venice e The God Complex sono presenti degli alieni o forze misteriose o non completamente identificate – che assumono un senso solo nell’immaginario di Doctor Who – che creano degli squilibri ambientali o mentali, generando caos o risvegliando paure primordiali, situazioni che necessitano del tempestivo intervento del Dottore affinché si possa ristabilire il precedente status quo.
In entrambi i casi, l’iniziale assenza del Dottore viene riempita dalla presentazione dei personaggi occasionali che saranno coinvolti nell’avventura.
Il filo rosso dello scorso episodio legato all’analisi politica attuale e all’esercizio del potere viene ripreso e sviscerato nei suoi toni più cupi ed estremi, denunciando e condannando questa volta l’abuso del potere personale da parte dei governanti e la conseguente instaurazione, nella stragrande maggioranza dei casi, dei regimi totalitari.
Historia magister vitae e in questo The Lie Of The Land il concetto viene sottolineato più volte in modo lapalissiano. La dimensione distopica, in cui il villain di turno falsa la storia e addormenta le coscienze dell’umanità non introduce nulla di innovativo nell’universo del Dottore poiché tale tipologia narrativa trova riferimenti in vari episodi delle stagioni precedenti, uno fra tutti The Rings of Akhaten. Da segnalare l’altra importante similitudine con l’episodio della settima stagione appena citato, ovvero il ruolo di deus ex machina che ha avuto il ricordo della madre di Bill associabile alla stessa funzione svolta dalla foglia di Clara, simbolo di tutte le possibilità che la madre non aveva avuto occasione di cogliere a causa della sua prematura scomparsa. Anche qui, Clara come Bill, entrambe le companions sono disposte al sacrificio per un bene superiore e per salvare e supportare il Dottore quando lui stesso fallisce.
Altra similitudine con le passate stagioni che salta subito all’occhio è l’impressionante somiglianza dei Monaci con i Silenti, nati questi ultimi dalla fervente fantasia di Steven Moffat. Tale associazione non è dovuta unicamente dall’uso del condizionamento psichico per asservire e controllare la coscienza e la storia dell’umanità, ma anche e soprattutto dal rovesciamento finale con il quale si ripristina lo status quo iniziale.
Alieni interessanti e subdoli, i Monaci subiscono però la stessa triste sorte di tutte le altre creature aliene che ci sono state presentate da inizio stagione: introduzione accattivante, approfondimento superficiale e rapida risoluzione della situazione di pericolo. La vita di questi pochi villains, ma dotati di strumenti sofisticati e di pericolosità contenuta, ha però avuto uno sviluppo più adeguato, tanto che ci lascia pensare che l’input psichico creatosi nello scorso episodio possa essere sfruttato in futuro per un loro nuovo ritorno, creando così una sorta di mito sulla loro esistenza.
Ma arriviamo finalmente a parlare dell’enorme elefante rosa nella stanza: la finta rigenerazione di Twelve. Una trollata fine a se stessa che ha creato panico e un hype altissimo negli spettatori, inserita in medias res solo per poter essere sfruttata nei vari trailer di presentazione della nuova stagione. Una presa in giro geniale quanto irritante per certi aspetti dal momento che tutta l’impostazione narrativa di questo nuovo pacchetto di episodio si basa su un impianto strutturale che ricalca in modo evidente le formule tipiche del Classic Who. Tale stratagemma non è certo una novità: basti pensare che anche Ten ed Eleven ne rimasero vittime – e noi con loro. Un momento così importante per gli sviluppi dello show ha da sempre necessitato di spazi e tempi adeguati. Le lacrime e la commozione sono rimandati a questo Natale.
La presenza di Missy ci fa capire che la trama orizzontale si sta dirigendo verso un obiettivo ben preciso e, allo stesso tempo, tiene alto l’hype per il ritorno di John Smith. L’intervento della subdola Time Lady rimane quindi fine a se stesso, dal momento che la sua intuizione contribuisce ben poco alla determinazione della soluzione finale.
L’episodio nel complesso ci lascia con un sapore dolceamaro in bocca, ma in suo soccorso giungono alcune situazioni di altissima intensità recitativa – il monologo del Dottore che si finge dalla parte dei Monaci, le scene di Pearl Mackie, eccezionale new entry e di Michelle Gomez, graditissimo ritorno – contribuisco a risollevare di molto il tono mesto di questo ottavo episodio.
anna_who
Empress Of Mars
Con Empress Of Mars, ritorniamo su uno dei pianeti che più ispira l’immaginazione di Moffat, Marte. Il pianeta rosso diventa lo scenario per una vicenda inconsueta, che si apre con un colpo di scena inaspettato anche per il Dottore, la scoperta da parte della NASA della scritta “God save the Queen” sulla sua superficie. Avvenimento troppo curioso e strano perché il Dottore rinunci ad investigare. In men che non si dica Bill, Nardole e Twelve si trovano a bordo del Tardis direzione Marte nel 1881. L’episodio, diretto da Wayne Yip (Misfits e Class) e scritto tra gli altri da Mark Gatiss (l’impareggiabile Mycroft di Sherlock), riprende lo schema della trama verticale con digressione finale, a cui Moffat ci ha abituato con i primi episodi.
La storia è scorrevole e avvincente dall’inizio alla fine. Nonostante gli antagonisti, gli Ice Warrior, ci siano già noti, Moffat ci presenta sotto un’altra luce questa specie aliena di guerrieri indominabili, quella di esseri viventi che devono affrontare la perdita dell’habitat naturale. Ma visto che sia a Gatiss che a Moffat piace sempre dare una sia pur non proprio evidente morale, la tematica ben presto cambia tematica nell’eterno difetto della specie umana, l’intolleranza. Non c’è niente da fare, quando si tratta di confronto con altre specie, noi esseri umani ne usciamo fuori sempre peggio degli altri, e la cosa più brutta è il fatto che non è tanto lontano dalla realtà. Come da tradizione il Dottore e Bill assumono il ruolo di mediatori, assolvendo, come sempre, il loro lavoro in modo più che eccellente. Una nota di merito va data alla capacità di Mackie di esprimere un femminismo tanto potente quanto semplice attraverso Bill, in un momento della storia del mondo in cui in questo campo sembra si stiano facendo più passi indietro che avanti, come sempre Doctor Who rimane fedele al suo ruolo di serie educativa.
Anche se mancano ancora tre episodi alla fine della decima stagione, penso che possiamo tranquillamente affermare che Pearl Mackie si è guadagnata di tutto diritto un posto d’onore tra le compagne di avventure del Dottore. Non sbaglia mai una scena, è sempre ben inserita sia nella trama della puntata che nei dialoghi con Twelve, senza mai prevalere, ma rimanendo sempre in equilibrio con il protagonista. Bill, molto più velocemente rispetto alle altre, è già entrata in entrambi i cuori del Dottore. Ormai non riesco più ad immaginare Capaldi senza accanto Mackie, la chimica tra loro è talmente potente che ogni scena insieme è sempre promossa a pieni voti.
Ma quello che nell’episodio desta davvero la nostra curiosità è la sparizione del Tardis. Missy c’entra qualcosa con questo fatto strano? Era solo una scusa per uscire dalla sua cella o si tratta di un piano ben congeniato? Quel che sappiamo è che sul volto del Dottore è apparso il terrore e che ben presto dovrebbe fare la sua entrata in scena John Simm (il Master), ma soprattutto, possiamo anticipare, pur non avendo particolari poteri da veggente, che, se queste sono le premesse, il finale di stagione sarà sicuramente scoppiettante.
A voi sono piaciuti questi due episodi? Commentate con noi!
Serendipity